Nella logica classica si
chiama “principio di non contraddizione”: non si può affermare, con
riferimento allo stesso oggetto e contemporaneamente, una certa
proposizione e un’altra di segno contrario alla prima, pretendendo che
entrambe siano vere allo stesso tempo. E, soprattutto, pretendendo che
chi ascolti ci creda.
In ambito giuridico, la
trasposizione di quell’assunto si chiama “principio di unitarietà
dell’ordinamento”: le varie branche di un sistema normativo devono esser
tra loro armonizzate nei fini, devono, cioè, perseguire gli stessi
complessivi obiettivi di politica del diritto, per quanto di rispettiva
competenza dei vari ambiti del sistema stesso.
Nello scorso dicembre,
il Governo ha emanato il decreto 145\2013, che lo stesso Esecutivo e i
suoi tecnici, con intuizione redazionale impregnata di odeporica
creatività (un po’ viaggio di Gulliver un po’ metafora jheringhiana),
hanno battezzato, restando evidentemente seri, “piano Destinazione
Italia”.
All’art. 4 (rubricato
brillantemente “Misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche
dei siti di interesse nazionale”, sic!), comma primo, che sostituisce
una norma (l’art. 252 bis) del Testo Unico Ambiente (c.d. “TUA”, ossia
il D. Lvo 152\2006), si legge che il Ministero dell’ambiente e quello
dello sviluppo economico, d’intesa con le altre amministrazioni dello
Stato competenti, “possono stipulare accordi di programma con uno o più
proprietari di aree contaminate o altri soggetti interessati ad attuare
progetti integrati di messa in sicurezza o bonifica, e di
riconversione industriale e sviluppo economico produttivo in siti di
interesse nazionale individuati entro il 30 aprile 2007 ai sensi della
legge 9 dicembre 1998, n. 426, al fine di promuovere il riutilizzo di
tali siti in condizioni di sicurezza sanitaria e ambientale, e di
preservare le matrici ambientali non contaminate.”
A leggere quella
disposizione, ma soprattutto i commi successivi alla stessa, però,
qualche mente irredimibilmente preda di sindrome dietrologica potrebbe
esser colta dal vago sospetto che gli obiettivi delle “condizioni di
sicurezza sanitaria e ambientale, e di preservare le matrici ambientali
non contaminate” non costituiscano precisamente quella che si definisce
“ratio legis”, ossia il principio ispiratore del provvedimento
legislativo.
O, quantomeno, che
quegli obiettivi non si vogliano perseguire in un contesto di legalità,
per non dire di serietà, nazionale e comunitaria, come si vedrà
appresso.
Difatti, già dal testo
su citato emerge che non si va tanto per il sottile ecologico pur di
raggiungere il “fine di promuovere il riutilizzo di tali siti”, a
partire dal primo elemento soggettivo riportato: “proprietari o altri
soggetti”, a prescindere dal livello di responsabilità dei medesimi
nella contaminazione dell’area in questione, per questo curioso
legislatore - viaggiatore con “destinazione Italia” pari sono.
Ma decisamente di bocca
buona quest’ultimo si rivela anche nell’approccio al campo della
riparazione (o, per meglio dire, del contenimento) dei danni ambientali:
infatti, senza stare a spaccare il capello terminologico, ma
prim’ancora logico – giuridico, l’acuto estensore del provvedimento
legislativo dichiara che i benefici accordi di programma in questione
possono esser stipulati con variegati soggetti su citati, purché
“interessati ad attuare progetti integrati di messa in sicurezza o
bonifica”.
In verità, secondo il
TUA, all’art. 240, ci sarebbe una certa differenza sostanziale tra
“messe (al plurale) in sicurezza”. Già in questo genere, infatti,
secondo la stessa norma, rientrano tre specie: quella “d’emergenza”,
quella “operativa” e quella “permanente”; e la sensibile differenza tra
le varie figure è funzione della diversa intensità dell’inquinamento
che colpisce l’area in esame.
Ma ancor più pregnante è
la diversità tra messe in sicurezza e bonifica, sotto il profilo degli
interventi concreti da realizzare sempre con riferimento al grado di
devastazione subito dal territorio in questione.
Dato che nel testo
normativo in esame, sul punto, non v’è traccia di ulteriore
specificazione, sembrerebbe di capire che sia il diretto interessato, ad
libitum, a decidere se procedere, prima di avviare il progetto di
“riconversione industriale e sviluppo economico produttivo” (anche in
questo caso senza specificazione e limiti di sorta), ad una “messa in
sicurezza” (una qualsiasi) o a una bonifica.
Ma, come si accennava
sopra, sono anche e soprattutto altre le parti di questo mirabile
articolato che danno da pensare in ordine alle finalità reali del
legislatore della nota, patriottica, “destinazione”.
A partire dal comma 2
dello stesso articolo 1, dove si legge: “Gli accordi di programma di cui
al comma 1 assicurano il coordinamento delle azioni per determinare i
tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso e funzionale
adempimento per l'attuazione dei progetti e disciplinano in
particolare: [….] e) i contributi pubblici e le altre misure di
sostegno economico finanziario disponibili e attribuiti [….]”
Qui, davvero, c’è poco
da aggiungere e\o esplicare: i temerari capitani d’impresa che
prometteranno che da lande desolate e impestate estrarranno il petrolio
della “riconversione industriale e sviluppo economico produttivo”
beneficeranno di “contributi pubblici e altre misure di sostegno
finanziario….”.
Quale che sia stato, nel
passato anche recente, il rapporto di quelle quintessenze di
imprenditori schumpeteriani con lo stupro di quei territori (vd sopra).
Infine, per chiudere
questa modesta disamina di una previsione normativa tanto emblematica
della cultura politica ed ecologica di questo legislatore, ossia di
queste “classi dirigenti” (absit iniuria verbis), resta solo da
rammentare il disposto di chiusura, una sorta di logico corollario, di
questa gemma di tutela ambientale integrata: “6. L'attuazione da parte
dei soggetti interessati degli impegni di messa in sicurezza, bonifica,
monitoraggio, controllo e relativa gestione, e di riparazione,
individuati dall'accordo di programma esclude per tali soggetti ogni
altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno
l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo.”
Traduzione: quale che sia il livello
reale di inquinamento dell’area (eventualmente scoperto anche dopo),
quali che siano le vere responsabilità dei soggetti imprenditoriali
nella causazione dello stesso e gli obblighi, comunque, normativamente
gravanti sugli stessi di messa in sicurezza o bonifica, le tavole della
legge degli “impegni” di costoro saranno costituite solo “dall’accordo
di programma” che “esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di
bonifica e riparazione ambientale [….]
Quello stesso accordo che quegli stessi
soggetti, che poi saranno proprietari e amministratori di colossi
industriali, nazionali ed esteri, avranno stipulato con le, notoriamente
autorevoli ed inflessibili, Pubbliche Amministrazioni di questo paese.
Com’è noto, quando un
colosso industriale con le casse gonfie di profitti incontra una
Pubblica Amministrazione italiana con l’accordo di programma in tasca,
il colosso industriale è un colosso morto.
L’aspetto più gustoso di
questa vicenda legislativa è che il magistrale decreto in questione è
oggetto dei lavori parlamentari di conversione negli stessi giorni in
cui l'Assemblea della Camera dei Deputati ha avviato l'esame di una
riforma in materia di reati ambientali, che prevede tra l'altro
l'introduzione nel codice penale di un nuovo titolo VI bis (Dei delitti
contro l'ambiente).
In particolare, le due principali nuove
figure di reato a tutela dell’ambiente che dovrebbero, negli auspici,
entrare nel nostro codice sostanziale riguardano proprio il delitto di
“inquinamento ambientale” (art. 452 bis c.p.), punito con la reclusione
da uno a cinque anni e la multa da 10.000 a 100.000 euro, e quello di
“disastro ambientale” (art. 452 ter), punito addirittura con la
reclusione da quattro a venti anni.
In realtà, tenendo conto dell’attuale
stato della tutela penale dell’ambiente nel nostro ordinamento, la
riforma in questione costituirebbe, se approvata, un mero e non proprio
tempestivo adempimento di precise e perentorie prescrizioni di
provenienza comunitaria per le quali gli Stati membri hanno l’obbligo di
adottare reati a tutela dell’ambiente “puniti con sanzioni penali
efficaci, proporzionate e dissuasive.” (direttiva n. 2008\99)
A questo si aggiunga,
con specifico riferimento al reato di disastro ambientale (ancora
formalmente assente nel nostro sistema penale), che era stata la stessa
Corte Costituzionale a provare a scuotere il, sempre presente a se
stesso, legislatore italiano, affermando che “in relazione ai problemi
interpretativi che possono porsi nel ricondurre alcune ipotesi al
paradigma del c.d. disastro innominato (tra le quali, segnatamente,
l'ipotesi del disastro ambientale), è auspicabile un intervento del
legislatore penale che disciplini in modo autonomo tali fattispecie
criminose.” (Corte Cost., Sent., 01/08/2008, n. 327)
Va, inoltre, evidenziato
che l’applicazione dei nuovi reati di inquinamento e disastro
ambientale comporterà non pochi problemi di accertamento giudiziale, con
riferimento particolare al rapporto causale tra le varie condotte di
inquinamento e l’evento del reato costituito dalla “compromissione” o
dal “deterioramento rilevante della qualità del suolo, del sottosuolo,
delle acque o dell’aria, ovvero dell’ecosistema, della biodiversità,
della flora o della fauna selvatica”, (nel caso dell’illecito di
“inquinamento ambientale”) ovvero “l’alterazione dell’equilibrio
dell’ecosistema”, irreversibile o di difficile reversibilità (per quanto
concerne il “disastro ambientale”).
Puntualizzato tutto
questo, però, quella in questione, in discussione alla Camera, resta una
riforma di civiltà, giacché tende a fare della tutela penale di un
bene vitale e comune come l’ambiente una materia giuridica appena
seria.
Per questo, risulta
quantomeno bizzarro che essa si trovi a convivere, nello stesso periodo
storico e nelle stesse aule parlamentari, con norme di tutt’altro
segno, come quelle che hanno “destinazione Italia” (sopra
sinteticamente analizzate) e, soprattutto, “conseguenza sanatoria”, per
il materiale effetto di condono che esse dispiegheranno, con grande
probabilità, nei confronti di inquinatori seriali di territori
sterminati (in tutti i sensi), almeno per quanto riguarda la
responsabilità civile di costoro, quella cioè consistente nell’obbligo
di risarcire i danni inferti a quelle terre.
Di talché, è tutt’altro
che frutto di fantasia apocalittica uno scenario per cui ci si potrà
trovare di fronte uno o più soggetti imprenditoriali sotto processo per
disastro ambientale con riferimento ad un dato sito e, nel contempo,
titolari di uno dei noti accordi di programma che, almeno per quanto
riguarda gli eventuali profili di responsabilità civile gravanti sullo
stesso soggetto in relazione a quel presunto disastro, potrà vantare
eccellenti titoli di “responsabilità limitata” in forza del su citato
comma 6, quello che “esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di
bonifica e riparazione ambientale [….]
Al netto del ginepraio di questioni che
regolarmente sorgono in merito ai rapporti tra provvedimenti
amministrativi e provvedimenti giudiziari anche in ambiti assai più
semplici di questo, non occorre neanche in questo caso un’immaginazione
particolarmente orwelliana per intuire che, anche in seguito ad
un’eventuale sentenza di condanna per inquinamento o addirittura
disastro ambientale di quei soggetti, non sarebbe opera proprio agevole
quella di far pagare loro, almeno da un punto di vista civilistico, le
loro colpe verso quei territori.
In questo senso, quindi,
si lascia valutare chi legge quanto queste prospettive sarebbero
compatibili con i due fondamentali principi, logico e giuridico, citati
all’inizio di queste note: quello di non contraddizione e quello di
unitarietà dell’ordinamento giuridico.
La chicca finale, che è
doveroso evidenziare sempre, è che tutto questo riguarda non siti
“qualsiasi”, ma territori particolarmente compromessi; tanto da esser
stati qualificati “Siti d’interesse nazionale”(Sin, per l’appunto) con
una legge dello Stato (l. 09/12/1998 n. 426), emanata principalmente “al
fine di consentire il concorso pubblico nella realizzazione di
interventi di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati”.
Tra i Sin, dalla loro istituzione, nel 1998, ci sono Brindisi e Taranto.
Ma, v’è, infine, un
altro fondamentale principio giuridico che non esce proprio corroborato
dall’incontro (o, forse meglio, dallo scontro) con l’articolato (sopra
esaminato) che viaggia verso la nota italica “destinazione”: è quello
per il quale “La politica dell'Unione in materia ambientale mira a un
elevato livello di tutela [….] Essa è fondata sui principi della
precauzione e dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in
via prioritaria alla fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul
principio «chi inquina paga.” (art. 191 Trattato sul funzionamento
dell’Unione Europea – TFUE, ripreso integralmente anche nel nostro TUA
all’art. 3 ter)
Con buona pace del
nostro perspicuo legislatore in perenne movimento, non è dato cogliere
come la statuizione dell’esclusione per chi stipuli un accordo di
programma con lo Stato italiano - a prescindere in questa sede da
qualsiasi ulteriore considerazione di merito e di metodo dello stesso -
di “ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale [….] possa
risultare men che spregiativo di quei principi, così limpidi e
perentori, contenuti nel TFUE, di cui si è data contezza.
Non è chiaro cosa mai possa significare realmente
scrivere nell’epigrafe di un decreto legge della Repubblica Italiana:
“destinazione Italia”.
Una cosa è certa: quando mai fosse possibile, questo provvedimento serve a portare l’Italia ancora più lontano dall’Europa.
Fasano, 8\2\2014
Avv. Stefano Palmisano
www.legalepalmisano.it
Collegata con questo commento critico anche una importante riflessione di Luciano Panato: Franco Roberti è il procuratore nazionale antimafia. fu lui ad
interrogare uno dei primi pentiti delle cosidette ecomafie. Si chiamava
Nunzio Perella. Lo interrogò a Thiene, comune vicentino da dove Perella
dirigeva il traffico dei rifiuti verso la Campania. Ieri sul quotidiano
dei Vescovi italiani: "Avvenire" è uscito un articolo con delle sue
dichiarazioni sulla terra dei fuochi e il traffico di rifiuti. Roberti
ha detto: " il traffico illecito dei rifiuti, non è un reato
mafioso
ma reato d'impresa e questa è una riflessione che nessuno fa a
cominciare da Confindustria". Risposta del Governo il decreto Terra dei
fuochi e salva Italia, che come scrive Medicina Democratica di Napoli
depenalizza tali traffici e amnistia per le imprese. Da non credere,
ma vero tra poteri dello Stato a questo punto vige l'incomunicabilità :http://www.contropiano.org/politica/item/22099-decreto-terra-duno è ei-fuochi-e-destinazione-italia-condono-e-amnistia-per-gli-assassini