C’è una correlazione fra le acque inquinate nei pozzi della
valle dell’Agno e del Basso Vicentino e l’alta incidenza di linfomi e
leucemie in provincia di Vicenza? Secondo l’Isde, associazione medici
per l’ambiente, il link potrebbe esserci: si aprirebbero nuovi
inquietanti risvolti nella vicenda delle acque inquinate da perfluorati
alchilici, emersa nelle scorse settimane dopo le rilevazioni del Cnr che
ha scoperto in 30 comuni del Vicentino (e anche del Padovano e del
Veronese) concentrazioni sopra la media di PFOA (sostanze
perfluoro-alchiliche, composti utilizzati nell’industria chimica).
L’ipotesi – di sola ipotesi si può parlare, visto che al momento mancano solide basi di dati per verificarla – l’ha messa per iscritto il dottor Vincenzo Cordiano, oncoematologo presso l’ospedale di Valdagno e presidente della sezione vicentina dell’Isde. Un pdf che Cordiano si è premurato di inviare a tutti i parlamentari e consiglieri regionali veneti.
«Non ne ho la certezza, ma l’ipotesi è verosimile – dice Cordiano – Le stime pubblicate dal registro tumori del Veneto hanno previsto per il 2012 un aumento rispetto al 2011 di circa il 40 per cento di nuovi casi di linfomi e leucemie nei maschi delle Ulss 3 e 4». Le malattie del sangue sono ciò di cui Cordiano si occupa quotidianamente all’ospedale di Valdagno, dove i casi effettivi di linfomi e leucemie sarebbero in linea con quanto previsto dal registro tumori: «Nei primi sette mesi del 2013 ho registrato personalmente 35 casi sicuri di linfomi e leucemie a Valdagno, un dato che pare in linea con le stime del registro tumori, che per il 2012 prevedevano 77 casi nell’Ulss 5 (in cui Valdagno rientra, ndr). Nel 2011 le stime erano di 60 casi nella stessa Ulss, con un aumento da un anno all’altro del 39 per cento per i maschi e del 15 per cento per le femmine». I dati sono pubblici e sono stati raccolti dal medico nel suo blog.
L’aumento stimanto è localizzato nelle Ulss 5 (Ovest Vicentino), 4 (Alto Vicentino) e 6 (Vicenza), mentre nell’Ulss 3 di Bassano del Grappa è prevista una diminuzione, e nel Veneto complessivamente l’aumento è molto ridotto (+17 per cento fra i maschi e +7 per cento fra le femmine). «Il dato preoccupante – afferma Cordiano – è che, mentre tutti gli altri tumori sono stimati in diminuzione, quello dei linfomi (assieme ai sarcomi tumori collegati con l’inquinamento ambientale più di altri tipi) è invece in aumento in tutta le regione e, particolarmente, a Vicenza». L’incidenza superiore alla media potrebbe, secondo il sospetto dell’ematologo, essere correlato «anche alla contaminazione delle acque potabili in almeno 30 comuni della regione da parte dei composti perfluorpalchilici, oltre che al grave inquinamento atmosferico da parte dei particolati. È noto che la città di vicenza è ai primi posti in Italia per il numero di giorni di superamento del limite del particolato (nel 2012 superato per 112 giorni contro i 34 al massimo consentiti dalla legge)».
La tossicità dell’acido perfluoroctanico sarebbe stata dimostrata negli Usa, dove una class action ha costretto il colosso chimico DuPont a pagare fior di quattrini per bonificare le acque contaminate da queste sostanze, utilizzate per realizzare il Teflon, materia plastica usata per rendere le superfici antiaderenti, diffusissima nei decenni scorsi nell’industria delle pentole. Nel 2004 infatti la multinazionale americana ha accettato di pagare 343 milioni di dollari per porre fine a una class action avviata da 60 mila cittadini di Ohio e West Virginia: denaro usato, fra le altre cose, per ripulire le falde inquinate dall’acido perfluoroctanico. In seguito DuPont ha promesso di eliminare completamente l’uso di tali sostanze dalla produzione entro il 2015.
In Italia però sul tema c’è un vuoto normativo: nonostante una raccomandazione comunitaria dell’Ue già nel 2010 chiedesse di monitorare la presenza di tali sostanze negli alimenti, la legge italiana non prevede un tetto massimo alla concentrazione di sostanze perfluoro-alchiliche. In Germania la normativa fissa un tetto di 100 nanogrammi per litro. Le recenti rilevazioni nel Vicentino mostrano valori decisamente più alti: oltre 1500 nanogrammi per litro a Brendola, Sarego, Lonigo, oltre 2000 in un pozzo della zona industriale di Vicenza. La relazione dell’Arpav inviata al Ministero dell’ambiente in seguito alle recenti segnalazioni ha verificato che l’origine dell’inquinamento è negli scarichi della ditta Miteni di Trissino: nata negli anni ’60 come unità di ricerca della Marzotto (si chiamava “Ri-Mar”), nel 1988 ha cambiato la sua ragione sociale in seguito a una joint venture fra Mitsubishi ed Eni, diventando quindi “Mit-Eni”.
L’ipotesi – di sola ipotesi si può parlare, visto che al momento mancano solide basi di dati per verificarla – l’ha messa per iscritto il dottor Vincenzo Cordiano, oncoematologo presso l’ospedale di Valdagno e presidente della sezione vicentina dell’Isde. Un pdf che Cordiano si è premurato di inviare a tutti i parlamentari e consiglieri regionali veneti.
«Non ne ho la certezza, ma l’ipotesi è verosimile – dice Cordiano – Le stime pubblicate dal registro tumori del Veneto hanno previsto per il 2012 un aumento rispetto al 2011 di circa il 40 per cento di nuovi casi di linfomi e leucemie nei maschi delle Ulss 3 e 4». Le malattie del sangue sono ciò di cui Cordiano si occupa quotidianamente all’ospedale di Valdagno, dove i casi effettivi di linfomi e leucemie sarebbero in linea con quanto previsto dal registro tumori: «Nei primi sette mesi del 2013 ho registrato personalmente 35 casi sicuri di linfomi e leucemie a Valdagno, un dato che pare in linea con le stime del registro tumori, che per il 2012 prevedevano 77 casi nell’Ulss 5 (in cui Valdagno rientra, ndr). Nel 2011 le stime erano di 60 casi nella stessa Ulss, con un aumento da un anno all’altro del 39 per cento per i maschi e del 15 per cento per le femmine». I dati sono pubblici e sono stati raccolti dal medico nel suo blog.
L’aumento stimanto è localizzato nelle Ulss 5 (Ovest Vicentino), 4 (Alto Vicentino) e 6 (Vicenza), mentre nell’Ulss 3 di Bassano del Grappa è prevista una diminuzione, e nel Veneto complessivamente l’aumento è molto ridotto (+17 per cento fra i maschi e +7 per cento fra le femmine). «Il dato preoccupante – afferma Cordiano – è che, mentre tutti gli altri tumori sono stimati in diminuzione, quello dei linfomi (assieme ai sarcomi tumori collegati con l’inquinamento ambientale più di altri tipi) è invece in aumento in tutta le regione e, particolarmente, a Vicenza». L’incidenza superiore alla media potrebbe, secondo il sospetto dell’ematologo, essere correlato «anche alla contaminazione delle acque potabili in almeno 30 comuni della regione da parte dei composti perfluorpalchilici, oltre che al grave inquinamento atmosferico da parte dei particolati. È noto che la città di vicenza è ai primi posti in Italia per il numero di giorni di superamento del limite del particolato (nel 2012 superato per 112 giorni contro i 34 al massimo consentiti dalla legge)».
La tossicità dell’acido perfluoroctanico sarebbe stata dimostrata negli Usa, dove una class action ha costretto il colosso chimico DuPont a pagare fior di quattrini per bonificare le acque contaminate da queste sostanze, utilizzate per realizzare il Teflon, materia plastica usata per rendere le superfici antiaderenti, diffusissima nei decenni scorsi nell’industria delle pentole. Nel 2004 infatti la multinazionale americana ha accettato di pagare 343 milioni di dollari per porre fine a una class action avviata da 60 mila cittadini di Ohio e West Virginia: denaro usato, fra le altre cose, per ripulire le falde inquinate dall’acido perfluoroctanico. In seguito DuPont ha promesso di eliminare completamente l’uso di tali sostanze dalla produzione entro il 2015.
In Italia però sul tema c’è un vuoto normativo: nonostante una raccomandazione comunitaria dell’Ue già nel 2010 chiedesse di monitorare la presenza di tali sostanze negli alimenti, la legge italiana non prevede un tetto massimo alla concentrazione di sostanze perfluoro-alchiliche. In Germania la normativa fissa un tetto di 100 nanogrammi per litro. Le recenti rilevazioni nel Vicentino mostrano valori decisamente più alti: oltre 1500 nanogrammi per litro a Brendola, Sarego, Lonigo, oltre 2000 in un pozzo della zona industriale di Vicenza. La relazione dell’Arpav inviata al Ministero dell’ambiente in seguito alle recenti segnalazioni ha verificato che l’origine dell’inquinamento è negli scarichi della ditta Miteni di Trissino: nata negli anni ’60 come unità di ricerca della Marzotto (si chiamava “Ri-Mar”), nel 1988 ha cambiato la sua ragione sociale in seguito a una joint venture fra Mitsubishi ed Eni, diventando quindi “Mit-Eni”.
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