I
fili della storia, o meglio delle storie,nella memoria fanno strani
percorsi. Rimangono lì, in un angolo remoto del cervello. Poi una storia
che inizia nel 2013 fa recuperare dalla memoria il filo di un'altra
storia avvenuta alla fine degli anni ottanta che si connette con i fatti
del 2013.
Trissino e lo stabilimento Rimar, oggi Miteni, al centro
oggi del caso d'inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche e Port
Koko in Nigeria, sono lontani migliaia di chilometri e sono dislocati in
continenti diversi: Europa, Africa.
Eppure negli anni ottanta un
fatto li avvicinò: le navi dei veleni;Cariche di rifiuti tossici
dell'industria chimica europea, tra cui le peci fluororate della Rimar.
Così la storia viene raccontata da Andrea Palladino nel suo libro: "Bandiera nera. Le navi dei veleni, Manifesto libri.
Le spiagge di Koko:"nel giugno del 1988 il giornale nigeriano The
Guardian pubblica un reportage dal porto della città di Koko. Viene
rilevato un traffico immenso di rifiuti tossici, "abbandonati non
lontano dalla spiaggia, in una zona abitata e senza nessuna sicurezza".
Ad avvisare il quotidiano furono gli studenti nigeriani che abitavano in
Italia, che telefonarono ai giornalisti in Nigeria chiedendo di
raccontare l'origine di quei rifiuti.
La reazione delle autorità
nigeriane fu durissima. L'equipaggio della nave Piave- che nulla aveva a
che fare con il traffico – fu sequestrato e in pochi mesi fu introdotta
la pena di morte per i moderni pirati ambientali.
Secondo un rapporto del Trade Envirorment
Database-progetto della America University- almeno 54 persone furono
arrestate in Nigeria dopo la scoperta delle discariche abusive create
dagli italiani. In Italia però, nessuno venne condannato, neanche un
solo giorno di reclusione.
L'esportazione illegale dei rifiuti
verso la Nigeria era stata oraganizzata nel 1987 dalle attivissime
Jelly Wax e Ecoline, le stesse aziende che avevano avvelenato le terre
libanesi, organizzandi il viaggio della Radhost. Una volta scoppiato il
caso, il Parlamento italiano- grazie sopratutto al gruppo di Democrazia
Proletaria, guidato da Edo Ronchi- discusse lungamente di questo nuovo
episodio di pirateria ambientale, il conto veniva presentato al nuovo
governo. Solo per la bonifica, che era stata richiesta come risarcimento
da parte del governo nigeriano, la cifra stimata era di almeno venti
miliardi di lire.
Le scorie tossiche e nocive che avevano
avvelenatole spiagge di Koko erano partite dal piccolo porto della
darsena di Pisa alla fine del 1987.Come già era accaduto qualche mese
prima a Marina di Carrara, anche in questo caso il traffico pericolosi
è potuto avvenire anche grazie alla compiacenza di molte autorità. La
prima autorizzazione viene firmata dal sindaco di Pisa il 2 settembre
del 1987. Il documento è incredibilemente confuso: la nave che viene
indicata come vettore è la Danix, battente bandiera danese, che
risultava avere una capacità di 500 tonnellate. Il sindaco,
nell'elencare i diversi carichi autorizzati, con relativo peso arriva
al totale di oltre 32.000 tonnellate di rifiuti altamente tossici.
Errori forse spiegabili con una confusione di virgole o uno scambio tra
chilogrammi e tonnellate. Eppure tutto file liscio, senza nessun
intoppo.
L'autorizzazione firmata dal sindaco non cita direttamente
le aziende responsabili del carico e dell'esportazione del carico
verso Koko, facendo riferimento esclusivamente ad una richiesta
presentata il giorno prima dall'agenzia marittima Enrico Bonistalli di
Livorno.Nel settembre del 1987 i casi Lynk e Radhost avevano già fatto
conoscere le aziende Yelly Wax e Ecolife. Quindi una certa discrezione
era sicuramente "opportuna". Il gruppo di Democrazia Proletaria riesce a
rintracciare presso il comando del Porto alla Darsena di Pisa e la
cartella con le bolle di carico originali.la lista delle società
produttrici è lunga e degna di nota: Ecomivil di Cuneo, Vendo Italy di
Coniolo, Sofio di Genova, Co-par di Ivrea, Spinoglio di Casl
Monferrato, Industrie Chimiche Baslini di Treviglio, Chemintor di
Giomello, Alfa Chemical Italiana di Alamo (Pe), P.G.B di Campoligure,
Colorificio Attiva di genova e Api spa di Mignanesco, sempre in
provincia di Genova.
Una seconda autorizzazione arriva il 14
novembre 1987. L'agenzia che presenta la richiesta per l'esportazione
di rifiuti + sempre la stessa, la Bonistalli di Livorno. Cambia la nave-
sarà la Line , bandiera tedesca-e cambia la destinazione, almeno in
questo primo documento. Il sindaco firma il nulla osta per un viaggio
verso il porto libero libero di Sulina in Romania. Leaziende coinvolte
anche in questo caso sono tutte del nord Italia e, in molti casi, i
trasportatori erano già concosciuti e diffidati in precedenza o
sprovvisti delle autorizzazioni regionali, secondo le informazioni
contenute nel dossier consegnato in Parlamento dal gruppo guidato
dall'allora deputato Edo Ronchi.
I veleni destinati ad essere
imbarcati ad essere imbarcati sulla Line provenivano dalla Casco Nobel
srl di Piombino, Milano (residui organici), dalla Ferrara Antonino, di
Robassanero, Torino( resine semipolarizzate), dalla Siat srl di Brescia (
residui di pesticidi), dalla Sochima spa di San MauroTorinese (residui
organici), dalla Fratelli Cremonini snc di Alfi, Verona( decalite
cenere, croste colore, magni da stampa) e dalla Rimar Chimica di
Trissino, Vicenza( peci fluororate)............ La destinazione del
secondo carico, originalmente diretto al porto libero di Sulina,
cambierà in viaggio, diventando Koko, Nigeria.......".
Trissino e lo stabilimento Rimar, oggi Miteni, al centro oggi del caso d'inquinamento da sostanze perfluoro alchiliche e Port Koko in Nigeria, sono lontani migliaia di chilometri e sono dislocati in continenti diversi: Europa, Africa.
Eppure negli anni ottanta un fatto li avvicinò: le navi dei veleni;Cariche di rifiuti tossici dell'industria chimica europea, tra cui le peci fluororate della Rimar.
Così la storia viene raccontata da Andrea Palladino nel suo libro: "Bandiera nera. Le navi dei veleni, Manifesto libri.
Le spiagge di Koko:"nel giugno del 1988 il giornale nigeriano The Guardian pubblica un reportage dal porto della città di Koko. Viene rilevato un traffico immenso di rifiuti tossici, "abbandonati non lontano dalla spiaggia, in una zona abitata e senza nessuna sicurezza". Ad avvisare il quotidiano furono gli studenti nigeriani che abitavano in Italia, che telefonarono ai giornalisti in Nigeria chiedendo di raccontare l'origine di quei rifiuti.
La reazione delle autorità nigeriane fu durissima. L'equipaggio della nave Piave- che nulla aveva a che fare con il traffico – fu sequestrato e in pochi mesi fu introdotta la pena di morte per i moderni pirati ambientali.
Secondo un rapporto del Trade Envirorment
Database-progetto della America University- almeno 54 persone furono arrestate in Nigeria dopo la scoperta delle discariche abusive create dagli italiani. In Italia però, nessuno venne condannato, neanche un solo giorno di reclusione.
L'esportazione illegale dei rifiuti verso la Nigeria era stata oraganizzata nel 1987 dalle attivissime Jelly Wax e Ecoline, le stesse aziende che avevano avvelenato le terre libanesi, organizzandi il viaggio della Radhost. Una volta scoppiato il caso, il Parlamento italiano- grazie sopratutto al gruppo di Democrazia Proletaria, guidato da Edo Ronchi- discusse lungamente di questo nuovo episodio di pirateria ambientale, il conto veniva presentato al nuovo governo. Solo per la bonifica, che era stata richiesta come risarcimento da parte del governo nigeriano, la cifra stimata era di almeno venti miliardi di lire.
Le scorie tossiche e nocive che avevano avvelenatole spiagge di Koko erano partite dal piccolo porto della darsena di Pisa alla fine del 1987.Come già era accaduto qualche mese prima a Marina di Carrara, anche in questo caso il traffico pericolosi è potuto avvenire anche grazie alla compiacenza di molte autorità. La prima autorizzazione viene firmata dal sindaco di Pisa il 2 settembre del 1987. Il documento è incredibilemente confuso: la nave che viene indicata come vettore è la Danix, battente bandiera danese, che risultava avere una capacità di 500 tonnellate. Il sindaco, nell'elencare i diversi carichi autorizzati, con relativo peso arriva al totale di oltre 32.000 tonnellate di rifiuti altamente tossici. Errori forse spiegabili con una confusione di virgole o uno scambio tra chilogrammi e tonnellate. Eppure tutto file liscio, senza nessun intoppo.
L'autorizzazione firmata dal sindaco non cita direttamente le aziende responsabili del carico e dell'esportazione del carico verso Koko, facendo riferimento esclusivamente ad una richiesta presentata il giorno prima dall'agenzia marittima Enrico Bonistalli di Livorno.Nel settembre del 1987 i casi Lynk e Radhost avevano già fatto conoscere le aziende Yelly Wax e Ecolife. Quindi una certa discrezione era sicuramente "opportuna". Il gruppo di Democrazia Proletaria riesce a rintracciare presso il comando del Porto alla Darsena di Pisa e la cartella con le bolle di carico originali.la lista delle società produttrici è lunga e degna di nota: Ecomivil di Cuneo, Vendo Italy di Coniolo, Sofio di Genova, Co-par di Ivrea, Spinoglio di Casl Monferrato, Industrie Chimiche Baslini di Treviglio, Chemintor di Giomello, Alfa Chemical Italiana di Alamo (Pe), P.G.B di Campoligure, Colorificio Attiva di genova e Api spa di Mignanesco, sempre in provincia di Genova.
Una seconda autorizzazione arriva il 14 novembre 1987. L'agenzia che presenta la richiesta per l'esportazione di rifiuti + sempre la stessa, la Bonistalli di Livorno. Cambia la nave- sarà la Line , bandiera tedesca-e cambia la destinazione, almeno in questo primo documento. Il sindaco firma il nulla osta per un viaggio verso il porto libero libero di Sulina in Romania. Leaziende coinvolte anche in questo caso sono tutte del nord Italia e, in molti casi, i trasportatori erano già concosciuti e diffidati in precedenza o sprovvisti delle autorizzazioni regionali, secondo le informazioni contenute nel dossier consegnato in Parlamento dal gruppo guidato dall'allora deputato Edo Ronchi.
I veleni destinati ad essere imbarcati ad essere imbarcati sulla Line provenivano dalla Casco Nobel srl di Piombino, Milano (residui organici), dalla Ferrara Antonino, di Robassanero, Torino( resine semipolarizzate), dalla Siat srl di Brescia ( residui di pesticidi), dalla Sochima spa di San MauroTorinese (residui organici), dalla Fratelli Cremonini snc di Alfi, Verona( decalite cenere, croste colore, magni da stampa) e dalla Rimar Chimica di Trissino, Vicenza( peci fluororate)............ La destinazione del secondo carico, originalmente diretto al porto libero di Sulina, cambierà in viaggio, diventando Koko, Nigeria.......".
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